Giugno 2020
Il mito racconta che un tempo viveva, in una zona di montagna, una donna che era rimasta vedova con bambine e bambini da crescere. Un giorno, andando a prendere acqua al ruscello, vide una salamandra in difficoltà. Si accorse che la salamandra era in attesa di partorire e che faceva fatica. Subito la aiutò. In realtà la salamandra era un’anguana, una donna bella e generosa che, riconoscente, regalò alla donna un gomitolo di lana il cui filo non finiva mai. La donna si mise subito al lavoro e confezionò golf, calze , sciarpe e berretti per le sue figlie e i suoi figli e un maglione anche per sé. Generosamente decise di donare ad altre donne, parte del gomitolo in modo che ciascuna potesse realizzare maglioni, sciarpe, calze e berretti per le persone care. Il gomitolo passò così di mano in mano e si racconta che continui ad essere donato generosamente. Il gomitolo costituisce un patrimonio, una risorsa da usare collettivamente…. è il filo dei ricordi, è la ricchezza dei saperi e delle tradizioni delle quali occorre conservare memoria.
La religione cristiana inglobò il mito dell’anguana nella figura di Maria. La Madonna che fila o che lavora a maglia il vestito di Gesù compare in alcune antiche rappresentazioni dell’Annunciazione. Dopo il Concilio di Trento l’anguana fu accostata a figure cattive, quasi diaboliche, nel tentativo di cancellare la memoria di un mito che restituiva il simbolico delle relazioni tra donne.
Anche in Vallassina si ritrova la figura dell’anguana. A Canzo, in una zona ricca di acqua che ora ha il nome di Santuario di San Miro, sopravvivono due nomi che legano la zona al mito dell’anguana e, non a caso, al lavoro a maglia. Nomi che rimandano all’esistenza del mito e al tentativo di cancellazione: il Cepp dell’Anguana e lo Scalfin del diaul.
La Fondazione Sormani/Prota-Giurleo ha organizzato un’invasione virtuale di immagini sui muri delle case di Sormano. Il mito dell’anguana è il filo conduttore dell’iniziativa.
Primo itinerario a Dicinisio, Sormano alta.
Partendo da piazza Santa Maria ci si sposta alla Casa dei quadri, sede della Fondazione Sormani/Prota – Giurleo, e, all’inizio di via Garibaldi, si vede l’opera Il roveto ardente dell’artista LeoNilde Carabba.
Il riferimento è alla credenza popolate secondo la quale la salamandra potrebbe attraversare indenne il fuoco. Altra interpretazione del roveto ardente viene dalla teologia ortodossa orientale secondo cui Maria diede vita al Dio vivente rimanendo vergine così come il cespuglio brucia senza consumarsi.
Sempre percorrendo via Garibaldi si incontra l’opera di Antonella Prota – Giurleo. Una sovrapposizione di sagome di salamandre allude alla rete di relazioni che le donne, attraverso legami forti, hanno costruito perpetuando, attraverso i secoli, la memoria ancestrale delle antiche dee, impedendone la cancellazione.
All’incrocio con via Chignola su una parete bianca un’opera grafica dell’artista argentino Samuel Montalvetti, docente all’Università di Arti visive di Buenos Aires. Samuel ha reso omaggio al lavoro femminile riprendendo la forma di una sciarpa lavorata ai ferri. Alcuni lavori cosiddetti “femminili” contengono un “di più” rispetto alla necessità. Per coprirsi e per nutrirsi sarebbe possibile comprare abiti ed alimenti ma le madri, le nonne, fanno sciarpe e torte, ricamano e impastano mettendo, nel proprio fare, quel di più che è costituito dall’elemento affettivo. Elemento che Samuel individua e di cui restituisce il significato il filo di lana che assume la forma di cuore.
Da via Garibaldi in via Chignola l’opera di Paolo Cabrini allude sia alla salamandra che alla figura dell’anguana, giovane donna che, come la salamandra, ama l’acqua. Una fotografia elaborata con inchiostri tipografici e matita copiativa sciolta in alcool delle dimensioni di cm 11,5 x 9, 5 assume, su una parete, un effetto di grandezza che non deriva solo dalla dimensione.
In via Pradosso l’opera di Umberto Corni, fotografo, esplicita lo stretto rapporto tra l’acqua e la terra. L’utilizzo del bianco e nero, caro all’artista , rende più evidente la forma mobile dell’acqua e la forma fissa, rigida, dei cubi. Cubi che rimandano alla più antica forma attribuita alla terra, il quadrato.
L’acqua è il soggetto principale dell’immagine a colori del fotografo e grafico Mirko Bozzato. Neve e ghiaccio sciogliendosi determinano piccole cascatelle mentre un fiume scorre; l’acqua è elemento vitale per la salamandra che vive in ambienti boschivi freschi e umidi. La presenza dell’anfibio è determinata dalla necessità di riproduzione in acqua; acqua che non deve essere contaminata.
In via Crocefisso si trova anche l’opera elaborata dall’artista italo tedesca Gretel Fehr. In un’evanescente gioco di grigi ci appare, nitido, un piccolo gomitolo rosso.
Quasi l’esplicitazione del fatto che, attraverso la memoria atavica, le tracce dell’anguana arrivino sino a noi come se i saperi e le relazioni femminili si perpetuassero al di là del tempo e dello spazio.
Risuonano alla mente alcuni versi di Ungaretti
il suono attutito di perse
memorie riverbera…
… da uno spiraglio repentino è desto
un corso d’acqua calmo e chiaro…
Percorrendo via Lavello, si giunge alla piccola chiesa dove si possono ammirare due opere.
La prima, collocata sotto il portico, della fotografa Margherita Del Piano e l’altra, sulla parete laterale destra, della pittrice e scultrice Renuka Kesaramadu.
Il titolo dell’opera di Margherita del Piano Vivere sani in un mondo malato, fa riferimento ad una nota frase di Papa Francesco. Nell’ immagine è rappresentata una Madre Terra malata e suddivisa in fasce climatiche di crisi : incendi, rifiuti, scioglimento dei ghiacci, scarsità di risorse, desertificazione, inquinamento. La madre con il bambino è una reiterazione del concetto di “madre” intesa come essere accogliente ed ospitale.
Renuka Kesaramadu rappresenta una grande Madre Terra amorosa che stringe al seno un enorme gomitolo aiutata, nel sostenerlo,da sagome di donne e di mani di donne. Un’interpretazione benevola che dice della necessità di relazioni femminili per sostenere questo nostro mondo in modo che, in esso, si possa, tutte e tutti, vivere in armonia.
Sotto l’immagine dell’artista indiana la sorgente di acqua, fonte di vita.
Ci si può fermare, dissetare, riposare all’ombra del portico e, allungando un poco il cammino, giungere allo splendido vecchio lavatoio a tre vasche.
Tornando da via Crocefisso in piazza Panzeri dove, di fronte all’antica latteria, restaurata per accogliere il Museo degli antichi mestieri, si incontra, su una parete chiara, l’opera di Roberto Gianinetti.
L’artista rappresenta, sinteticamente, Maria alla quale un angelo offre un fiore. I visi dei due personaggi sono disegnati da intrecci di fili mentre i fori sui due corpi rimandano al passaggio di ago e filo mentre il colore blu allude all’acqua.
Sulla piazza panchine invitano a sedersi e a cogliere l’occasione per rielaborare il mito dell’anguana attraverso la lettura di un racconto di Anna Aurenghi.
Prima di risalire verso la piazza Santa Maria sull’angolo della casa chiara, l’opera dell’artista turca Emine Tokmakkya.
Il greto di un torrente ospita pesci, tema caro ad Emine, che nuotano in acqua chiara mentre un largo filo rosso si sovrappone a bolle e mulinelli .
Da via Pratobevera per una dolce salita si arriva a via Santa Maria dove sono state collocate le immagini di tre opere.
L’artista argentino
Alfredo West Ocampo ha dipinto, con tecnica puntinista, una vergine della cultura incaica della quale si ha memoria nella regione peruviana di Tilcara. Nella zona, ricca di acqua, da più di duemila anni le donne percorrono chilometri sulle montagne con i loro ovini, tingono la lana con erbe e tessono. Un’analogia con le antiche dee che si ripropone attraverso i millenni e le culture differenti.
Poco oltre l’opera di Annalisa Mitrano, originariamente realizzata utilizzando legno e plexiglass, ci rimanda alla simbologia dell’acqua, del filo illimitato che si attorciglia e degli elementi naturali caratteristici nel mito dell’anguana.
Sempre in via Santa Maria Mavi Ferrando, scultrice e curatrice di mostre, ha realizzato in legno la sagoma di una donna le cui forme rimandano a qualle delle Dee madri. Al legno è accostata la carta sulla quale Mavi ha disegnato un gomitolo.
Sullo sfondo una cappelletta affrescata da Giovanni Sormani. Una madonna con bambino sembra dialogare con il simbolico rappresentato dall’opera di Tiziana Priori, collocata sulla parete laterale sinistra della chiesa di Santa Maria, e con l’assunzione di valore di genere femminile espresso da Mavi Ferrando.
L’opera originale di Tiziana, dipinta con colori acrilici su carta nepalese, restituisce il senso delle relazioni tra donne attraverso i tanti gomitoli rossi collegati l’uno all’altro dal filo inestinguibile.
E siamo di nuovo in piazza Santa Maria dove il primo itinerario termina.
Secondo itinerario – Sormano bassa
Dal Municipio di Sormano si percorre la via Trento e Trieste.
Qui, su una parete di sasso, Margherita Cavallo ha realizzato un’opera a partire dalla suggestione di bolle d’acqua tra le quali ha inserito gli elementi del mito. Nella sua interpretazione l’anguana, trasformata in salamandra, intimorisce per la sua doppia natura, malefica e benefica. Il gomitolo infinito assume l’aspetto di premio per una madre indigente che supera il proprio disagio e soccorre un essere che, gridando per i dolori del parto, le procura spavento.
Arrivati a piazza Monsignor Olgiati percorrendo la via Benvenuto Sormani si incontrano le opere di due artisti e di un’artista.
Su una parete a lato dello spiazzo Antonio Sormani ha elaborato, ad olio su tela, un’opera del ciclo delle Perturbazioni trasformando un paesaggio naturale in una serie di righe come accade quando le trasmissioni televisive sono disturbate. Le linee, i pixel permettono di immaginare un luogo con presenza di acqua, calma o in caduta, con onde, e di piante rigogliose che, nell’acqua, si riflettono mentre, in basso e lateralmente. alcuni tocchi di rosso rimandano all’idea del gomitolo.
Poco più avanti, su una parete grigia, Fernanda Fedi ha unito nella sua opera l’interesse che l’artista ha, da sempre, per la scrittura con quello, più recente, per la musica. Nell’originale il cerchio centrale è costituito da un vecchio disco di cartone che richiama da un lato le favole e dall’altra la forma del gomitolo. Dal centro del disco si dipartono o arrivano tracce di scrittura in linee che si intersecano alludendo alle relazioni tra donne, alla lingua che, non a caso, è definita materna, alle forme di scrittura preistorica dove “ i segni erano ancora in parte figurativi, non astratti, arbitrari, convenzionali” (L. Irigaray)
Sull’angolo dello stesso fabbricato l’opera di Ruggero Maggi. L’artista interpreta il mito ritraendo “l’anguana come apparizione fugace che si manifesta per un istante per poi dileguarsi… creatura spirituale della natura che si ciba dell’acqua, suo elemento vitale e che, quasi come in un gioco primordiale, si specchia nella sua naturale compagna la salamandra” Un’elaborazione pittorica del mito interpretato graficamente attraverso toni grigi su carta giallo chiaro accompagnato da brani stampati, ritagliati e incollati, che manifestano l’importanza della parola nella costruzione di relazioni.
In fondo alla via sulla sinistra, all’incrocio con la via dei Campi, sulla parete della casa più antica di Sormano, l’opera di Nadia Magnabosco. Una forma femminile che rimanda alla scultura greca segna un percorso simbolico femminile che, dalle antiche Dee (e non soltanto dee madri), passa attraverso le diverse interpretazioni del divino giungendo all’anguana, alla figura di Maria e, nei nostri tempi, alla ricerca e alla riscoperta delle madri simboliche.
A destra dell’immagine di Nadia quella dell’artista argentina Silvia Lissa. Attorno al capo di una persona, il cui volto è giocato graficamente a tinte piatte bianche e nere, un cerchio di uccelli in volo restituisce il senso e il desiderio di un rapporto sereno ed equilibrato tra umanità e animalità, tra cultura e natura.
Proseguendo per via Parroco Tavola si incontra l’opera di Claudio Romeo. L’artista, nonché grafico, ha ideato un’interpretazione grafica della salamandra, dalle lunghe dita, giocata sull’accostamento di due colori complementari, il blu e l’arancione, e del rosso. Mi piace immaginare che le lunghe dita dell’anfibio alludano alla necessità di stringere mani e relazioni. Così accade nella Mail art modalità espressiva della quale Claudio è esponente qualificato sia a livello pratico che teorico.
In via Mazzini l’immagine di Joelle Claudel Gandouin, artista francese una cui opera, realizzata durante il 4° Simposio di arte contemporanea di Sormano, è realmente esposta nell’atrio cel Municipio, ha sfruttato la sua grande capacità di disegnatrice per rappresentare, quasi un’illustrazione, tutti gli elementi del mito dell’anguana. L’acqua, la salamandra, l’anguana, la madre, le bimbe e il bimbo, il gomitolo il cui filo va a perdersi nello spazio e nel tempo rappresentati dall’acqua.
Da via Mazzini si prende la via Francesco Rosso e, sull’angolo con via Testiori si trova l’opera di Marilde Magni, artista che, utilizzando la carta ridotta a strisce e lavorata a maglia, restituisce valore ad un lavoro femminile spesso sottovalutato. In un breve testo di Luce Irigaray sulla cultura della differenza la filosofa chiede a sé stessa e a noi: “Come uscire dall’ingranaggio dell’ordine patriarcale fallocratico? Come dare una possibilità di spirito, di anima, alle ragazze?” E, tra i consigli che Luce offre alle madri, quello di “interporre tra madre e figlia piccoli oggetti fabbricati manualmente per compensare le perdite di identità spaziale, le effrazioni del territorio personale” A mio parere Marilde offre, con la sua invenzione della magliacarta e con l’utilizzo della sua tecnica, un manifesto di libertà femminile.
Percorrendo via Testori si possono ammirare quattro opere.
Sulla parete esterna di una casa intonacata e dipinta di bianco si è deciso di porre l’opera grafica, giocata sul bianco e nero, “Anguana. Una visione” di Hugo Pontes, artista brasiliano. Cinque cerchi neri racchiudono al proprio interno ciascuno tre profili femminili, visibili completamente solo nel cerchio centrale, accostati in modo da formare un’immagine. Sul bianco di ogni forma un fiore, rappresentato come generalmente lo disegnano i bimbi e le bimbe, allude alla connessione tra femminile e naturale.
Attilia Garlaschi ha lavorato su una carta ruvida, spessa, utilizzando diversi materiali pittorici: tempera bianca per il fondo, inchiostro azzurro per l’idea dell’acqua e colori acrilici per la salamandra. Con i pennelli ha steso le campiture di colore sovrapponendo alla sagoma della salamandra, realizzata nei toni del marrone, piccole scaglie di colore nero steso a rullo. La salamandra, animale anfibio, procrea nell’acqua e presso le acque limpide vive.
Gabriele Genchi, giovane videoartista rappresenta simbolicamente, attraverso solchi, “i corsi d’acqua che scendono verso il grande fiume delle relazioni tra le genti. Gli intrecci dell’acqua, giunti alla fonte, compongono il gomitolo rosso della sorellanza”. Un’opera giocata sui toni del grigio e del bianco, su linee che compongono triangoli, e rettangoli che terminano uno spazio quadrato, asimmetrico, al cui interno si leggono le forme di tre triangoli rossi.
Cosma Tosca Bolgiani e Ariel Antonio Alemanno hanno elaborato la propria opera insieme partendo dall’immagine della Papessa tratta dalle carte dei tarocchi.ì. La figura rappresenta simbolicamente il rispetto monacale e l’istinto animale e invita allo sviluppo di una coscienza personale. Nell’interpretazione della coppia la donna tiene in mano diversi fili che escono da un libro a sancire il desiderio femminile di cultura e di relazioni significative.